"Il grande tabų" di Luigi De Marchi Stampa E-mail

Trascrizione dell'editoriale di Luigi De Marchi andato in onda il 20-01-2006 su Radio Radicale :

Pronti a crepare tutti per il Grande Tabù

L’ultimo numero de “L’Espresso” dedica il suo servizio di copertina intitolato con malcelata soddisfazione “Sorpasso atomico” ad un evento tanto significativo quanto sottaciuto dalla maggior parte dei media: e cioè al crollo di quella maggioranza che, 18 anni fa, con uno storico referendum “affossò la produzione di energia nucleare nel nostro paese, sbaragliò la pressione di fortissime lobby economiche e finanziarie e sancì il peso del movimento verde nella nostra vita politica”.

Un recentissimo sondaggio d’opinione della Swg pubblicato dall’”Espresso” ha rivelato che, mentre fino a qualche anno fa il rifiuto dell’energia nucleare era condiviso dalla maggioranza degli italiani, oggi quel blocco maggioritario è crollato dal 54% al 44%, mentre i favorevoli al nucleare sono balzati dal 40 al 47%. Anche la paura dilagata nella popolazione dopo il disastro di Chernobyl – continua il settimanale – si è dissolta: oltre il 60% degli intervistati dichiara infatti di non ritenere più molto pericolosa la presenza degli impianti nucleari sul nostro territorio.

Perché? “L’Espresso” elenca puntigliosamente le cause di questa improvvisa apertura dell’opinione pubblica nei confronti di una produzione energetica che espone il mondo al rischio di disastri capaci di distruggere la civiltà umana per sempre (anzi no, scusate, solo per 24.000 anni). Il fattore primario di questa corsa al nucleare, secondo il settimanale della sinistra intelligente, starebbe nel fatto che la minaccia di un taglio alle forniture russe di gas ha fatto capire ai popoli europei infreddoliti che la Russia può ormai condizionare pesantemente le loro economie: e ciò li spaventerebbe di più del rischio d’un disastro atomico. E, ricorda “L’Espresso”, alla minaccia russa si aggiunge il costo sempre più alto del petrolio. Già ora, il caro-bolletta sta pesando sulle abitudini degli italiani, riducendo l’illuminazione e il riscaldamento delle abitazioni.

Cionondimeno i consumi globali continuano a crescere: se ciascun occidentale consumava 8,3 kilowattore l’anno nel 2002, nel 2025 ne consumerà 10,6. E noi italiani siamo già sul libro nero dei firmatari del protocollo di Kyoto (che si sono impegnati a ridurre le emissioni di gas nocivi) perché, proprio a causa del nostro rifiuto del nucleare, abbiamo dovuto affidarci alle centrali termo-elettriche, bruciando idrocarburi e appestando l’atmosfera 5 volte di più della media europea. Del resto il modesto incremento dei consumi europei è una quisquilia in confronto a quello della Cina, dell’India e di vari altri paesi in via di sviluppo che va crescendo a ritmi vertiginosi e sta scatenando un’impennata sempre più angosciante nei prezzi del gas e del petrolio.

Ma, così solerte nel presentare tabelle e grafici che documentano la crisi energetica in atto e all’orizzonte ed i suoi presunti “fattori primari”, “L’Espresso” non dice una parola, secondo il costume, anzi il malcostume tipico dei grandi media di destra e di sinistra, di sopra e di sotto, sul fattore davvero primario di questa epocale crisi energetica e della corsa generale al nucleare e ai suoi disastri: la pressione insostenibile della popolazione non solo nel Terzo Mondo, ma anche nei paesi europei. Sì, anche nei paesi europei, sebbene le nostre dirigenze sembrino preoccuparsi solo d’incentivare la natalità.

Per parte mia, non ho di certo rimorsi di coscienza. Oltre 45 anni fa, nella mia opera prima (“Sesso e civiltà”, Laterza Editore) definivo l’esplosione demografica “la conseguenza più catastrofica del folle rifiuto di ogni misura denatalista da parte delle autorità costituite e delle organizzazioni internazionali”. ! E già trent’anni fa, mentre i fascistelli rossi del sinistrese mi definivano “agente della CIA” perché lottavo contro la generale negazione della questione demografica, in un Convegno organizzato con Aurelio Peccei ricordavo che la prosperità europea era costruita su una gigantesca economia di trasformazione a sua volta basata sulla massiccia lavorazione di materie prime importate a prezzi di rapina con energie importate a prezzi di rapina e segnalavo l’urgenza di un’azione denatalista non solo nel Terzo Mondo (ove la popolazione raddoppiava ogni vent’anni, impedendo ogni seria lotta contro la fame e la povertà) ma anche nell’Occidente avanzato e soprattutto in Europa (ove la densità altissima associata ad altissimi consumi di materie prime ed energie creava un pericoloso squilibrio tra popolazione e risorse del territorio e una pericolosissima dipendenza dell’Europa da governi tirannici e fanatici per la copertura dei suoi bisogni energetici). Ma quei mie appelli sono caduti nell’indifferenza o nella derisione per quasi mezzo secolo. E perfino i “verdi” italiani e stranieri (non a caso provenienti spesso dal fanatismo comunista) hanno sistematicamente negato o rimosso la bomba demografica, madre di tutte le tragedie e della stessa corsa al nucleare. Perché?

Dopotutto innumerevoli sondaggi hanno segnalato l’appoggio delle popolazioni alla regolazione delle nascite. Le misure denataliste avrebbero però comportato per la classe politica una posizione autonoma dalle rispettive gerarchie ecclesiastiche ed imposto di affrontare con chiarezza e buon senso il Grande Tabù, cioè i problemi sessuali legati alla procreazione.

Ebbene oggi siamo al “redde rationem”. Così il mondo si avvia smarrito alla catastrofe atomica e alla guerra per l’accaparramento delle energie. E perfino la crisi atomica iraniana può essere letta in quest’ottica. Mentre infatti le riserve iraniane di greggio sono destinate ad esaurirsi tra vent’anni, per quella data la popolazione sarà aumentata da 70 ad oltre 105 milioni di abitanti.

Insomma, siamo tutti pronti a crepare pur di non affrontare il Grande Tabù. Quale prova migliore della stretta interdipendenza tra psicologia e politica?

Luigi De Marchi
Presidente Società Italiana di Psicologia Politica
trascrizione di Fabrizio Argonauta
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